Piccoli lampi di poesie che ho scritto negli anni
al sopraggiungere della stagione autunnale.
Stiamo assaggiando gli ultimi sapori e impressioni d’autunno, in attesa del più gelido e affascinante precipitare nell’inverno ormai prossimo.
Ci siamo entrati lentamente, quest’anno, dentro all’autunno.
Dapprima in uno strascico d’estate che sembrava non finire. Gli ultimi bagliori di un caldo e di una spettacolare luce che ci faceva ancora danzare, sentire vitali, mentre decollavano i nuovi progetti e le nuove imprese settembrine.
Poi, piano piano, tutto ha avuto avvio: l’eterna ricorrenza della trasformazione cromatica avvincente delle foglie, dell’avvolgersi in spire di lentezza della Natura e del Tempo, del ritiro sornione dentro alla terra del tutto…
E noi, dentro alla terra più rarefatta e segreta dell’anima.
Tutto ha iniziato a rallentare nella Natura, a ritirarsi gradualmente, con passo felpato.
Accogliamo ancora, con sacra gratitudine, questa bellezza e lo spirito nascosto di futura, certa Rinascita che ciò che muore, si spegne, si ritira, poi genererà.
L’autunno ha sempre suscitato in me una “meraviglia bambina” che a pensarci bene non è dissimile da quella che provo ad ogni cambio di stagione, al mutare dei colori, dei profumi, delle impressioni, delle percezioni, come se ogni anno fosse la prima volta, come se ogni anno io non fossi invecchiata, ma fossi nel ritmo di quella trasmutazione meravigliosa che è la ciclicità, il cerchio vitale e saggio della Natura e della Vita, l’offerta generosa di bellezza che ogni cambiamento porta con sé come un ricco tesoro, la poetica essenza dell’impermanenza celata in ogni elemento che muta, fluisce, scorre, effimero ed eterno ad un tempo, e questo rotolare delle cose, che pur essendo lo stesso, simultaneamente, è sempre miracolo nuovo: nuovo battito, nuova musica, nuove immagini, nuove emozioni.
E rinnovate promesse.
Se il nostro sguardo resta fresco, aperto, duttile e meravigliato innanzi ai fenomeni e agli eventi che l’esistenza ci offre, non saremo mai Inermi, Inerti, Ignari, Ignoti, Indifferenti Inquilini fittizi, o passeggeri fugaci, su questo pianeta straordinario, ma protagonisti accesi, elementi naturali e fluidi nella natura stessa.
Saremo Natura, saremo Spiriti in eterno rinnovamento, saremo Movimento, saremo Vivi davvero.
Poesie d’Autunno
Tintinna il vento
la campana del Tempo.
E nel cuore canta
il primo autunno.
Regale sequoia
che osservi le mie finestre
e quelle del mio cuore.
Mi infilo in te,
come insetto
inerme di meraviglia.
Sei sintesi
d’estasi e bellezza
Sei,
nel tuo fonderti
e dissolverti
nel cielo,
Maestro.
Sei lo specchio
degli antenati
e un messaggio ligneo
di perfezione ardita.
Guerriera
di maestoso silenzio
in cui meditare
è perdersi per ritrovarsi
a un canto fresco.
Rinascita
Respirando
sapremo
la voce
della foglia
che si lancia
nel vuoto
per morire
in volo.
D’un giallo
di fiamma esigua
a spegnersi
nel calmo dimorare.
Stai
Liquidambra.
Sta l’uomo,
nella sua
frastornante
dimora
senza fiamme,
né giallo,
esiguo
a sé stesso.
Liquidambra
d’ambra
liquida
sciolto
al miracolo
del sole
che straccia
ombre
e ti lascia
appeso
all’attimo
del mio sguardo.
Gioiello
di verdi
drappeggi
che furono
ospiti
oro
e vivide perle
di esistenza,
cromatismi
che non tremano
alla nebbia.
Nidi vuoti
dove verrei
con un libro
o manciate
di silenzio.
Uccelli increduli
della tua
ritornata bellezza
che non sfiorisce
con lo sfiorire,
ma si accende
in ultimi
stremati,
gagliardi
bagliori.
Ti guardiamo.
Loro
da ali e becchi
sospesi in aria.
Io
da ali e labbra
che vestono
foglie e stupore.
Figlia d’autunno
e d’attesa.
Cola dagli occhi
la meraviglia
di essere qui
a partecipare ancora
della stessa stagione.
Nulla cambia.
Solo
l’acqua innocente
del nostro sguardo.
Vividezza sognante.
Nebbia
fusa in volo
da lanosi prati
di pecore.
Mentre
rotaie interne
d’indefinita
consistenza
mi riportano
al mio ordinario
consueto.
Cercare
oltre il velo
dell’ordinario
consueto
è
la perfezione
di lancio diagonale
del mio coltello.
Il filo di spada
del mio sentire.
Di fuochi e di nebbie
a rivestirti i pensieri
dei velluti del freddo.
Autunnali scintille
riportano
agli albori di te.
Rilevarsi da mondi
di fuori.
Inneggiare
al muto sentire.
Cado nella fiamma
di chi
in un ricordo
brumastro
cola dagli occhi
ad accendere
l’ultimo fuoco.
Si arrende alla danza
la foglia tinta di estremo morire.
Evanescenza del volo e del suo volto.
La pioggia
rotola sui tronchi dei castagni
come una capriola bambina.
È sera.
Rintocca
il pulsare d’autunno
No padre
No madre
Umidità
del parto ancestrale,
funghi allucinati d’intenso
della ricerca del profondo.
Dissolte lacrime
nella terra piangente
e grata
che spurga
tutta la nullità
del genere umano.
Lontano
Lontanto
lontano
perduto
nelle sue
lontananze.
Dissolto
nelle fumanti,
ma fredde
nebbie del vacuo.
Si muore
Si rinasce
E si uniscono
gli opposti col laccio
del firmamento
donato
dalle mitiche stelle.
Padre e Madre
coesi ed estatici
nel transito
Battente
Fulmineo
Consapevole
Mitico
e Sacro
di chi pronto è
alla fuga
per la libertà.
Per chi saldo è
nell’accorgersi
di ogni
Sacro Venire Meno.
Caduta libera
nel vuoto
che è vita
di verde risveglio.
Picco di rinascita.
E vai, allora.
Spicca il volo,
allievo del cosmo,
liberati da ogni morte.