Omar Galliani: recensione

“C’è qualcosa di nuovo oggi” ad Urbino, “anzi d’antico”.

C’è l’arte del disegno come matrice di una mostra nel segno di Raffaello.

C’è Omar Galliani, il celebre maestro del disegno di fama internazionale, nato a Montecchio Emilia nel 1954, che ad Urbino è stato docente all’ Accademia Belle Arti. Oggi insegna a Brera.

C’è <la scommessa della bellezza che in Raffaello ha inizio ed epilogo >, come recita l’aforisma firmato da Galliani all’ingresso della mostra.

C’è il legame con la storia, col passato che abbraccia il presente, binario su cui viaggia l’arte pura. 

C’è la sorpresa di trovare il linguaggio del tempo che non ritorna, un superlativo, coraggioso anacronismo che restituisce la certezza, la padronanza assoluta del segno, di linee perfette che creano volumi, tratteggiano volti che hanno il respiro divino, lo sguardo dell’anima.

E il genio di Raffaello come immanenza. Universo creativo di una arte come presagio che accoglie il passato e si apre al domani, l’arte del disegno è imprescindibile aspetto nell’opera di Omar Galliani, il segno come traguardo da cui ripartire per “fare mondi”.

Radici di un linguaggio come risvolto dell’essere. Lavori che si nutrono della forza e della leggerezza del gesto come principio, archè dell’arte e delle cose tutte.

Realizzate tra il 1970 e il 1980, le opere in mostra, che costituiscono la raccolta “Da e per Raffaello”, ci consegnano sorprese ed emozioni. Una serie di ritratti a grafite, talora in un doppio esito, che si identificano in Donne e Madonne. Ora nella Madonna della seggiola del divin pittore, ora nel volto della Fornarina e il dialogo con Raffaello si fa serrato.

Ma quello di Galliani non è un processo imitativo, l’artista si immerge nell’opera del grande urbinate, la fa sua, la rivive. Traduce modelli con assoluta originalità che divengono custodi della sacralità di una bellezza che rischia di essere corrotta dall’ “homo consumens”.  Non si lascia sedurre dal travaglio di un’ arte che abbandona disegno e figurazione per una sintesi che nega la storia e la tradizione dell’arte.

Omar sfida le tendenze del suo tempo per farsi interprete nuovo di un’arte antica. Eppure non rinuncia al risvolto della contemporaneità, ed eccolo inserire una scheggia di cristallo in opere dall’eco rinascimentale. 

Una scheggia come arma che riflette, tuttavia, una enigmatica luce. Una minaccia diretta a scalfire una irraggiungibile bellezza che non siamo in grado di custodire, forse nemmeno di sopportare?  <Toccare un’opera della storia dell’Arte significa infliggere una ferita da cui altre opere hanno origine >, sottolinea l’artista.

Galliani sembra voler testimoniare con un nobile “divertissement” che la rappresentazione diviene un gioco formale, estetico e concettuale che abbraccia l’universo dell’arte.

L’ incontro con la sua opera è anche quello con sintesi segniche e formali e con suggestive figure di donne a matita nera, di grandi volti tra luce ed ombra, laddove il nero sottolinea perfezione e bellezza che accoglie elementi floreali scaturiti da un cromatico puntinismo. Galliani, un gigante paladino della bellezza, difensore dell’arte del disegno, celebrato da Vittorio Sgarbi che apprezza le sue doti, lo abbiamo incontrato in visita ad Urbino dove è tornato a tenere una lezione all’ Accademia Belle Arti. Urbino, <la città in cui il tempo sembra sospeso in attesa che qualcosa accada>, come è lui stesso a dire.

La figura imponente, i lineamenti marcati, le mani grandi, una voce decisa, eppure calma, e la conferma che la sua arte è metafora di un ponte che si staglia in un riverbero di luce.

E’ sublime narrazione di un Eterno ritorno, prodotto della mente, del cuore, delle mani.

Una immagine che portiamo con noi insieme all’eco delle sue parole: <la mia arte come linguaggio che guarda al passato? Tutto si ripete. Ieri, oggi domani fanno parte della stessa dimensione, noi siamo la continuità nel tempo, nel ciclo infinito dell’Ouroborus. In opposizione alla velocità del tempo nasce in me il desiderio di generare il mio lavoro nella contemplazione e nella continuità del segno che non ha tempo. Quando mi accingo a lavorare, tutto in principio è bianco in attesa dell’ombra che, addensandosi, lasci un punto di forza, una luce che nasce dal fondo. Raffaello resta sospeso sul mio cavalletto prefigurando altre opere in cerca di nuove apparizioni, epifanie del divenire. E la mia opera è tutta lì, ripiegata su di un foglio o in una tavola che qualcuno mi ha lasciato in …eredità>.

Articolo pubblicato su il Resto del Carlino del 13 febbraio 2022

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