Thangka, i dipinti devozionali

Mi piace mescolarmi nella folla che anima Kathmandu, confondermi con le persone, lasciarmi “travolgere” dalla confusione che non è mai pericolosa, anzi, fa compagnia.

Ma ci sono dei giorni in cui sento il bisogno di stare nel silenzio: il negozio di Gouri diventa il “rifugio” ideale con il profumo d’incenso, le luci basse, il the al latte e le thangke, i “dipinti devozionali che si possono arrotolare” – proprio questo significa il nome – , appositamente creati per le popolazioni nomadi, che avvertivano l’esigenza di portare con loro un’immagine sacra nei continui trasferimenti.

Le thangke sono poi un importante aiuto per le pratiche di meditazione: arrotolate si trasportano facilmente e permettono di insegnare la dottrina  del Buddha con un efficace supporto visivo

Rimango lì per ore, circondata dalle rappresentazioni delle divinità che mi osservano, mi scrutano in mezzo a fiori di loto o avvolte dalle fiamme. 

Avvio con loro una silenziosa conversazione nel profumo di incenso, mentre i rumori della strada, le voci, il suono dei clacson si attutiscono sempre di più.

L’artista siede a terra, poco lontano da me.

Osservo le sue mani delicate, eleganti, leggere, mentre traccia le linee di orientamento per il disegno, evocando le energie che presiedono le quattro direzioni.  Nulla è lasciato al caso. La forma fisica della divinità deve essere perfettamente orientata con l’asse centrale. Un errore può compromettere l’armonia del disegno e quindi anche il suo valore.

 Il pennello scivola leggero sulla tela e nella penombra delinea i tratti della figura centrale. I silenzi e l’aria rarefatta delle montagne, il colore ocra delle rocce, i ghiacciai che comunicano con il cielo, antiche memorie che si fondono nel paesaggio, fanno da sfondo alla divinità che sorride benevola, oppure irata, mentre allontana spiriti pericolosi per proteggere il cammino, la casa, la famiglia.

Alcuni telai di legno e di ferro sono pronti in un angolo. Aspettano di accogliere una tela, solitamente di cotone, che egli preparerà con una base di gesso e colla che dovrà seccare prima di essere levigata e “animata” dal disegno.

I colori che utilizza sono chimici per i disegni meno pregiati, naturali per i più importanti. 

Il verde dalla malachite, il blu dall’azzurrite o dal lapislazzulo, il rosso dal corallo, il blu scuro dalla pianta di indaco e la pittura d’oro a 24 carati hanno un significato religioso nella dottrina buddista. 

Alcune thangke richiedono mesi ed anni di lavoro certosino, migliaia di particolari  prendono forma sulla tela ma il momento più sacro del lavoro arriva quando, dopo aver disegnato la figura centrale e quelle secondarie che ne esaltano le qualità intrinseche, l’artista si accinge all’“all’apertura degli occhi della divinità”.

Tutta la sua maestria si manifesta in questo istante. Dalla sua bravura dipende il risultato finale, l’espressione che la divinità manifesterà. 

Osservo la sua concentrazione, lo stato di meditazione. E’ consapevole che è giunto il momento in cui la thangka prende vita e da semplice disegno diventa un tabernacolo per la divinità.

Anche il mio respiro rallenta. L’atmosfera si cristallizza. Chiudo gli occhi per riaprirli solo quando sento che lui si muove. Allora ci sorridiamo  con gli occhi della divinità che osservano.

La tela viene ora ritagliata e incorniciata nel broccato di seta che rappresenta la “porta d’ingresso” che conduce alla divinità,  quando il meditante, superate le illusioni e le distrazioni del mondo fenomenico, si identifica con la spiritualità del dipinto stesso.

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