Juggling e poesia (1° parte)

Sembra quasi che sia la Poesia a sollecitare rapporti, legami, connessioni con altre realtà di qualche spessore umano e culturale. In altra sede è stato dimostrato, come ce ne fosse stato bisogno, del legame che esiste tra Architettura e Poesia e la fatica per dimostrarlo è stata minima perché le connessione sono tante e molto appariscenti.

Con quella che in lingua italiana si chiama Giocoleria, le cose sono un poco più complesse.

Mi pare interessante esaminare la parola stessa e fare intorno a questo qualche considerazione.

Giocoleria allude chiaramente all’aspetto ludico dell’attività, al gioco appunto ma questo accade solo nella nostra lingua che, senza volere, apre la porta a qualche confusione.

L’attività ha certo anche aspetti di gioco ma nella realtà dei fatti è una attività con dei risvolti professionali e artistici molto lontani dal gioco.

In francese il gioco si chiama “jeu” e giocare si dice “jouer” mentre fare giocoleria si dice “jongler” e l’attività si chiama “jonglerie”.

In inglese l’attività si chiama “juggling” e il giocoliere si chiama “joggler”

In tedesco la giocolieria si chiama “jonglieren” e giocoliere di dice “jongleur”.  il gioco invece si chiama “Spiel”.

Nelle lingue diverse dalla nostra si distingue nettamente tra il gioco e la giocoleria.

Per questa ragione e per una mia esigenza di chiarezza chiamerò gioco il gioco e chiamerò “jonglare” il fare della giocoleria.

Entrare nel mondo del juggling è come aprire la porta di un universo sconosciuto. Un mondo in apparenza leggero e giocoso ma nella realtà si scopre in fretta che ad ogni risultato di apparente leggerezza si arriva con un lavorio precisissimo, puntiglioso e rigoroso. Maniacale quasi, quanto a esigenze di concentrazione estrema e di disponibilità assoluta alla sofferenza. 

Sofferenza perchè imporsi delle regole strettissime che limitano quella che impropriamente chiamiamo libertà, è molto faticoso.

Nella vita di tutti i giorni, i nostri gesti sono per la maggior parte del tempo improntati all’approssimazione e in larga misura definiscono un nostro personale stile, una gestualità che ci rende riconoscibili e apprezzati o meno.

Entrare nel mondo del juggling vuole dire essere disposti ad acquisire gestualità perfettamente coordinate ed efficaci per il raggiungimento del risultato che si intende raggiungere.

Per fare un primo esempio bisognerà, nel più breve tempo possibile arrivare a tacitare la nostra dominante tendenza a essere “destri” o “sinistri”. Si dovrà arrivare alla possibilità di usare le due mani con la stessa facilità e poiché la mano destra è controllata dall’emisfero sinistro del cervello e la mano sinistra , all’opposto dall’emisfero destro, occorrerà arrivare al controllo simmetrico dei due emisferi. E a questo risultato si arriva solo con un esercizio assiduo e costante. Solo in questo modo, il gesto che sarà costato molta fatica, acquisterà col tempo la caratteristica dell’automatismo.

L’aspirante giocoliere, anzi juggler, dovrà rassegnarsi ad effettuare sedute ripetitive all’infinito, solo così il gesto che riesce la prima volta con fatica potrà diventare spontaneo, scorrevole e  armonioso.

Chi sappia affrontare questa fatica dovrà assoggettarsi anche ad affrontare con umiltà le delusioni  che accompagneranno la personale crescita. E’ questo il momento che aiuta a discernere tra gli esseri umani quelli con una corretta nozione di se stessi e delle proprie possibilità, quelli disposti non solo a soffrire ma anche al confronto con gli altri e quindi all’eventuale sconfitta o comunque al ridimensionamento del proprio ego. I presuntuosi faranno pochissima strada. Lo stesso competere con un compagno che potrebbe superarli li porta a  sfuggire alla competizione.

La conquista della competenza viene soltanto con l’esercizio, abbiamo detto e anche la leggerezza successiva sarà patrimonio di coloro che avranno impiegato il maggiore impegno.

Ogni capacità conquistata, il juggler sa  già che non sarà mai un arrivo ma solo il punto di partenza per una conquista successiva.

Non ci deve essere pertanto vanto alcuno per la capacità acquisita perchè ci sarà una capacità successiva da acquisire.

Mi viene da citare uno dei massimi giocolieri di tutti i tempi, Enrico Rastelli bergamasco di una famiglia circense, morto giovane purtroppo per una infezione nei prima decenni del ventesimo secolo.

Era in grado di eseguire esercizi di abilità e di equilibrio incredibili e a un certo punto della sua carriera, già capace di giocare fino a otto palline, si era proposto l’obiettivo di arrivare a nove palline anche perchè i giochi più belli sono con numero dispari di oggetti.

Ebbene per lui era stato abbastanza facile effettuare un primo passaggio completo ma per potersi esibire davanti a un pubblico doveva essere in grado di sostenere una routine di quasi un minuto. Per arrivare a questo risultato ha lavorato allenandosi per ben sei anni.

Al mondo ancora oggi si contano sulle dita di una mano degli artisti in grado di effettuare la stessa routine e per nostro vanto, alcuni sono italiani di origine.

Rimane da dire che nessuno degli spettatori, forse soltanto un altro giocoliere è in grado di contare le nove palline in gioco. Per questa ragione la fatica dell’artista è assolutamente inutile e proprio per questo meravigliosa. Si tratta della “satisfation de l’esprit” citata, per altre ragioni da un grande architetto come Le Corbusier. Questo per dire che il lavorio che un artista fa su se stesso per diventare impeccabile è spesso per la sua personale soddisfazione e non per altro.

Più cerco di spiegare anche a me stesso quali e quante sono le fatiche che fanno di un giocoliere un essere destinato alla sofferenza per inseguire modelli di perfezione per loro stessa natura destinati a deluderlo con la richiesta di sempre nuove perfezioni, più cerco di chiarirlo a me stesso e più mi rendo conto di quanto il juggling abbia dei rapporti e delle confinanze impensabili con la Poesia e con la sua pratica.

Lo dico sempre, ogni volta che mi capita di venire interpellato sul mio rapporto con la poesia e sulle mie convinzioni rispetto all’argomento. Dico che quasi sempre la spontaneità di una poesia va costruita e cito il solito esempio.

L’esempio della pagina di poesia che molti considerano la più bella in assoluto della letteratura occidentale. Parlo dell’Infinito di Leopardi. L’originale o la sua copia visibile nella casa del poeta a Recanati, mostra un largo foglio di carta con al centro i pochi versi del componimento, mi pare quindici.

Tutto intorno una miriade di correzioni, aggiunte e cancellature. Un lavorio incredibile per arrivare alla forma che conosciamo come la più spontanea, musicale, scorrevole e accattivante, un lavorio durato due anni prima di arrivare alla pubblicazione.

Anche la poesia ha bisogno di fatica e di impegno.

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