Settimo giorno a Kasos.
Isolata non dalle comunicazioni ne dai trasporti.
Grandi navi arrivano dal Pireo, 23 ore e qui concludono il loro tragitto, in questo piccolo punto dell’Egeo.
C’è anche un piccolo aeroporto che divide lo spazio con il mare e collega l’isola ad Atene. Il volo per Karpathos è il più corto del mondo: 10 minuti, a volte otto. Dipende dalle correnti.
E’ isolata dal tempo, come se la sabbia della clessidra qui scendesse più lentamente. Meta esclusivamente di turismo greco, ma un turismo particolare.
Nel 1856 quando iniziò la costruzione del Canale di Suez durata 10 anni, quasi tutti gli uomini andarono a lavorare in Egitto. L’isola fu lasciata nelle mani delle donne. Seguì poi l’emigrazione in America e ora sono i discendenti di quelle generazioni che tornano annualmente, per mantenere le radici con il passato, per onorare gli antenati.
È la storia di Kostas, un arzillo novantenne conosciuto stamattina.
Ha vissuto 45 anni a New York dove abitano ancora tre figli. Prima capitano sulle navi, ora come lui ha detto, qui a Kasos. Perché Kasos “it’s an easy island, no trouble, no problem”.
E con la sua auto impolverata va nei tre paesi dell’isola a bere il “greek coffee metterò”, medio. È un isolamento che ha permesso a Kasos di mantenere la sua identità. Non le interessa se è considerata la sorella minore di Karpathos, anzi, se ne fa un vanto.
Non ci sono le incredibili spiagge greche che attirano i turisti, ma l’acqua è ancora tiepida e trasparente.
È un’isola di armonia, non c’è la corsa ad accaparrarsi il turista. L’unico negozio per turisti vende qualche magnete e delle borse scolorite dal sole, in mezzo ad abiti anni 60.
Nelle taverne la musica è greca, tutti ci salutano, la fornaia ci regala i biscotti alla cannella. Chiamano Bhola “Nepal” lui fa vedere dov’è il Nepal… così l’Himalaya si riflette nell’Egeo.
I gatti sonnecchiano, anche loro senza stress, le pecore si riparano dal vento nell’ombra di una chiesetta e gli dei e le dee bevono l’ouzo ascoltando la musica.
Mariarosa Genitrini