In Nepal il termine per identificare uno sciamano è Dhami Jankri. Dhami significa “il pellegrinaggio dello spirito” e Jankri “colui che entra in trance”.
Lo spirito ha come meta un corpo puro in cui entrare e l’incorporazione dello spirito è la condizione essenziale per essere definito sciamano.
Compito dello sciamano è di portare la persona da uno stato di buio, di non conoscenza, verso la luce della consapevolezza. Lo sciamano allora diventa regista e attore di un “teatro Immaginale”, è un cantastorie, un narratore mistico, un danzatore che vibra all’unisono con l’Universo, un musicista per gli spiriti.
Sul palcoscenico immaginale cambia l’abito e indossa quello rituale: una lunga gonna bianca con 108 piegoline JAMA, una casacca bianca BHOTO, una fusciacca rossa PATUKA.
Il Divino femminile, la purezza della Madre Terra, la Luna bianca, la calma e il maschile, il rosso del fuoco, la forza: il suo corpo ora è in perfetto equilibrio.
Indossa una bandoliera di campanelle che suonano quando il corpo inizia a sobbalzare nello stato di trance sciamanica, avvertendo gli spiriti che ora la meta del loro pellegrinaggio è vicina.
Completano il suo abito rituale dei mala (rosari) di 108 grani di Rudraksha (nome botanico Eleocarphus spherica) il tributo per Maha Deo, il Grande Dio; una borsa a tracolla JHOLA contiene i grani di riso che rappresentano lo spirito della Madre Terra e alcuni aculei di istrice e piccoli falcetti: sono le sue “armi rituali”.
Quando gli spiriti sono all’”ingresso” del suo corpo e il loro pellegrinaggio sta terminando, è il momento di indossare il copricapo composto di una striscia bianca e rossa con penne di pavone. Lo spirito del pavone lo trasforma nell’uccello stesso, gli “occhi” delle penne sono i suoi occhi con cui osservare l’Universo.
“”L’atto di indossare un particolare abbigliamento altera l’aspetto dello sciamano, lui è diventato “un altro”, è l’incarnazione degli spiriti curativi con cui sta operando. Il suo corpo è diventato sacro, ha indossato il mantello degli spiriti.”” – Da “Sciamanesimo nepalese” di Evelyn Rysdyk e Bhola Banstola, pag. 139
Allestisce lo spazio rituale, benedetto con acqua consacrata, fumo d’incenso, canti e preghiere. Quest’ultime onorano la Madre Terra, gli spiriti della casa, gli spiriti ancestrali. Ora gli spiriti degli elementi prendono posto: due contenitori con l’acqua e i fiori, la Madre Terra rappresentata dal riso, delle penne di uccello per lo spirito dell’aria, la fiamma della lampada ad olio Dyio è il fuoco sacro, il canto è l’Etere.
Uno specchio di ottone MELONG riflette la luce della fiamma, cosi che possa vedere se spiriti negativi si stanno avvicinando, ma è anche una sorta di pagina dove leggere le informazioni durante una divinazione e individuare gli spiriti che hanno provocato la malattia. Lo spazio sacro è ora per lo sciamano una “mappa cosmica” che percorrerà nei suoi viaggi, sicuro di non smarrire la strada. Lo strumento per eccellenza dello sciamano è il tamburo DYANGRO che ha due facce sostenute da un’impugnatura ricca di simboli.
Le due facce sono realizzate con cuoio di cervo o capra e rappresentano il maschile e il femminile Prima che il dyangro sia equipaggiato con le due facce, si inseriscono amuleti, semi sacri, monete, alcuni chicchi di riso. Questo nutrimento fa si che il tamburo, da sempre strumento musicale, diventi un essere vivente. La voce del tamburo parla allo sciamano, dialoga con lui, invita gli spiriti, diventa la sua cavalcatura che gli permette di viaggiare veloce negli spazi e di cantare insieme una musica sacra per l’anima.