La parola sicuramente. Noi con essa emaniamo frequenze impercettibili che diventano, solo a chi è più “sviluppato”, percettibili. Io faccio molta attenzione alla parola, ho dedicato molto tempo allo studio della parola, l’ho analizzata con molta attenzione e ho imparato a conoscerla al di la della sua verità o meno.
Con essa si comprende se sei di buon umore o se stai male non solo sulla base di quello che la parola vuole manifestare ma anche attraverso le frequenze che essa emana. Io ho creato una mia sensibilità che potrei paragonarla a quella dei delfini che percepiscono quanto intorno a loro, come un radar che “rimbalza” la frequenza che essi stessi emanano e torna indietro. Ciò per capire (proprio quando la mia parola torna indietro) cosa porta con se. Sono quindi contemporaneamente un attento uditore della parola e decodificatore della stessa, oltre che un radar sulla mia voce e tono.
E’ per me un modo importante per capire su quale frequenza si trova il mio interlocutore e per sintonizzarmi con attenzione sulle sue frequenze per migliorare, se necessario, la sua condizione oppure per capirne il disagio e poi riadeguare il disequilibrio alla condizione migliore. Ricordiamoci che la parola è una frequenza che può essere curativa come distruttiva.
E’ importante comunque stare e prediligere ambienti e persone dove c’é la parola, cioè dove la gente parla e ti parla, dove c’é la parola fra le persone; insomma dove ci siano persone che parlino agli altri e quindi anche a ciascuno di noi, ma mai lasciarsi coinvolgere in argomentazioni volgari, aggressive, malevoli o di denigrazione verso se stessi o gli altri perché la frequenza sprigionata, o meglio di cui si compone la parola stessa pronunciata male o con l’intento malevolo, può penetrare nella psiche e arrecare danni sia a chi la pronuncia sia a chi la riceve anche quando si parla di un estraneo alla discussione (un danno quanto meno anche solo riconducibile a un inutile consumo di energia a livello inconscio che poi crea anch’esso disequilibrio sostanziale).
Quindi non vale la pena correre il rischio di sentire cose spiacevoli o percepire negatività dalla parola, anche se so bene che ci sono persone abituate purtroppo a parlar male di ogni cosa e su ogni persona; meglio pertanto evitare ambienti di cui si conosce già la tendenza al negativo, e così amicizie e compagnie anche occasionali che si atteggiano in questo modo perché sono molto dannose e possono creare complicazioni impegnative su cui poi lavorarci su per ricondizionare il nostro campo energetico diventa complicato.
Nelle mie pratiche io “sento” di tutto e così ho non solo imparato a pormi, come ho già detto, come un radar percettore delle frequenze altrui ma anche come facilitatore al raggiungimento di quella depurazione dai danni generati dalla parola disequilibrata ed inadeguata. Si dovrebbe dare più importanza, come avviene nei paesi orientali tipo il Giappone, a come ci si deve porre verso gli altri e quali parole usare nelle diverse occasioni, anche nella gioia come nel dolore o nel litigio.
Se non si è capaci di “parlare” oppure di ascoltare tenendo bene in alto lo scudo dello schermo contro le negatività che la parola può portare con se (per non lasciarsi penetrare dagli eccessi), i danni provocati dalla parola stessa sono profondi e a volte lasciano cicatrici dolorose, a volte addirittura difficilmente sanabili. I mezzi di comunicazioni, poi, come televisioni, radio, giornali, così come i personaggi pubblici dovrebbero diffonde modalità di espressione meno aggressive e più curate per fornire alla massa un’educazione indotta al linguaggio corretto per generare frequenze corrette.
La cosa intelligente da fare è bloccare chi parla a sproposito e dirle “scusa ti devo fermare perché il modo con cui ti stai esprimendo nei miei confronti mi sta creando disagio pertanto o abbassi i toni e cambi modo di esprimenti oppure ne parliamo un’altra volta quando saremo più in sintonia”.
Il silenzio, per contro, ha un valore importantissimo per capire quel che noi desideriamo anche dalla nostra parola e dalla parola altrui, così come in tante altre cose. Serve a fare introspezione, a meditare e a scoprire cosa siamo e cosa vogliamo da noi stessi e dagli altri. Il silenzio crea una dimensione in cui si può avviare un’attività proficua di indagine, di ricerca in se stessi; questa fase è molto importante, indispensabile, vitale oserei dire.
Il silenzio con noi stessi e l’ascolto di noi stessi e di quello che gli altri vogliono comunicarci è fondamentale per ristabilire l’equilibrio in ogni nostro pensiero e comportamento, saper lasciare andare quel che non ci va bene e trattenere quel che riteniamo giusto e sostanziale per noi. Senza questa attività saremmo delle persone vuote, che non riescono ad immagazzinare le informazioni e non saprebbero maturare e mettere a frutto le esperienze quotidiane e, di conseguenza: niente crescita, niente elevazione, niente evoluzione della mente e dello spirito.
Io personalmente ho bisogno di silenzio per meditare, pensare e capire dove sto sbagliando. Lo uso per raccontarmi una poesia interiore, i miei fatti, dialogare con me stesso, con il mio IO che vive e mi osserva da dentro di me. Ognuno ha un proprio IO interiore: chi non l’ha trovato o non è in contatto lo deve ricercare perché è li che aspetta. Egli, nel mio caso, è un doppio di me stesso che va curato, con cui mi confronto spesso e senza paura in ogni occasione in cui si presenti la necessità, senza riserve, spogliandomi di ogni pregiudizio e schermatura per tirar fuori il meglio di me stesso al fine di disporre di una risorsa in più, di un “amico” e alleato a mia disposizione per migliorare me e, attraverso di me, i miei affetti e gli altri che mi circondano e si rivolgono a me con fiducia.
Da “I colloqui con Andrea” di Vittorio Spampinato – presso lo Studio Andrea Penna – Preganziol, marzo 2021