Nella nostra quotidiana camminata(8-9 km di media) stamattina abbiamo seguito una piccola strada mai percorsa prima.
Sommariamente asfaltata, conduce, per mano e con delicatezza, in mezzo alla foresta.
Alti alberi sono avvolti da rampicanti, orchidee, come per farsi compagnia l’un l’altro.
Il sole a fatica cerca uno spazio, ma l’ombra ha il sopravvento. Il mare sembra lontano, dopo una curva ci troviamo in un villaggio.
Poche case malconce di legno, palafitte in continua sfida con il mare, profumo di riso cotto.
Sono le case dei lavoratori cambogiani e birmani come pure dei locali. La parte turistica dell’isola sembra più lontana, non ci sono sdraio e ombrelloni, ma la fatica.
Anche il mare non è limpido, l’acqua ha il colore del fango, il sapore delle speranze.
Due mucche pascolano indifferenti, la sabbia della clessidra della vita scende più lentamente. Le persone ci sorridono, salutano e continuano nelle loro faccende.
Le elucubrazioni mentali occidentali non trovano spazio qui, le risposte precedono le domande. Sono le palme e gli alberi a raccontare storie che non hanno bisogno di parole. Il silenzio parla un altro linguaggio, non è quello dei libri, ma della storia, della mitologia, degli Dei.