70 anni di “Un Americano a Parigi”

Il settantesimo anniversario di un famosissimo film plurivincitore di Premi Oscar della MGM di Vincente Minnelli con Gene Kelly e Leslie Caron (presentato l’anno successivo alla sua uscita al Festival di Cannes) ci rende possibile il prendere pretesto per qualche considerazione sull’opera di uno dei maggiori geni musicali del XX Secolo, cioè George Gershwin, che compose l’omonimo poema sinfonico nel 1928.

Un americano a Parigi (An American in Paris) è stato eseguito per la prima volta il 13 dicembre 1928 alla Carnegie Hall dalla New York Symphony Orchestra diretta da Walter Damrosch.

E’ un lavoro di qualità eccezionale, sebbene inferiore quanto ad innovazione alla Rapsodia in Bleu e quanto a struttura al Concento in Fa maggiore, entrambi per pianoforte ed orchestra.

Gershwin è uno di qui rari Maestri, come Schubert e Mozart, che morirono poco più che trentenni forse consumati dalle vibrazioni immense del genio musicale che albergava in loro e il chiedersi cosa avrebbero potuto comporre se fossero vissuti fino a cento anni fa accapponare la pelle: probabilmente nulla ci sarebbe stato da aggiungere, invero… ma ci piace crederlo.

Gershwin visitò Parigi, come molti americani che in vari casi vi si erano anche stabiliti( Cole Porter, il suo principale “concorrente” quanto a Musicals era uno di quelli), a scopo formativo e ivi incontrò il suo Mito, Maurice Ravel, che gli rivolse la famosa risposta che suonava più o meno così: “non cerchi di essere un pessimo Ravel, si accontenti di essere un ottimo Gershwin” .

Il 1928 è una data assai significativa per i rapporti fra Parigi e gli americani (ma Gershwin non poteva saperlo).

Presto i clacson dei taxi così compiutamente proposti nel poema musicale avrebbero ricondotto il loro suono pieno di vita su toni molto più cupi. La crisi finanziaria del 1929 che colpì inizialmente gli Stati Uniti ebbe un grande riflesso negativo anche per l’Europa e per Parigi in particolare.

Quasi tutti gli americani, in gran parte ricchi, che vi si erano stabiliti furono indotti a tornare in Patria e questa fu la causa principale (esacerbata poi dall’avvento del Nazismo e dalla susseguente fuga dei grandi artisti europei – aiutati in ciò da personalità americane che resistettero in Europa fino all’ ultimo, fra cui Peggy Guggenheim – in America) del passaggio dello scettro di Capitale delle Arti  e della Cultura da Parigi a New York dopo Secoli.

Paolo Turati 

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