Ogni essere umano è uno spirito che si incarna per un’esperienza con un programma nelle linee essenziali già predefinito, che si chiama destino.
È evidente che essendo l’incarnazione un percorso di oblìo per lo spirito, l’uomo dimentica lo scopo della sua vita e lo dimentica perché deve trovarlo da solo, attraverso, appunto, quel processo che si chiama di consapevolezza.
Vivere attivamente la vita significa oltrepassare le regole umane, soprattutto quelle morali, per trovare la natura essenziale, ovvero lo spirito, l’individualità autentica che si cela oltre la materialità del corpo fisico. Certamente, all’inizio, tutto questo porta lotta, sofferenza, disperazione, poiché viene meno il punto di riferimento dei vecchi modelli, ma poi, a mano a mano che ci si libera di queste strutture, troviamo la serenità, la leggerezza, l’ebbrezza e la soddisfazione del cambiamento.
Il primo passo per fare questo percorso è l’accettazione degli altri, il capirli, giustificarli, non dare giudizi, aiutarli a modificarsi: questa è la vera fraternità. È importante che ognuno assolva il suo programma individuale, poiché ogni spirito, tornato tale dopo il trapasso, risponde del suo programma e della sua evoluzione e non di quella degli altri.
Il primo atto da compiere sulla strada del cambiamento è l’autocritica, ovvero il cercare di vedere anche i propri limiti, non dare sempre la colpa agli altri se le cose non vanno, altrimenti si rischia di ricadere nei soliti circoli viziosi.
L’essere umano dovrebbe sempre trovare nuovi progetti, arricchirsi di entusiasmo, proiettarsi in avanti, invece, spesso tende a guardare indietro: a quello che ha fatto, e a quello che poteva fare e non ha fatto; per pigrizia, per paura, per non intraprendere strade nuove che potrebbero portare anche a perdite di tempo inutili. Spesso ci si perseguita con l’incubo del trascorrere del tempo, della vecchiaia incipiente, pensando di non poter realizzare più nulla, e ricadendo nell’errore di ritenere la propria vita ormai proiettata verso la fine (esempio: sono vecchio ormai per cambiare qualcosa).In questo modo si vive passivamente lasciandosi scivolare addosso la vita, questo, naturalmente, è un grave errore perché l’uomo può progettare a qualsiasi età, non si è mai troppo vecchi per cambiare abitudini, idee, comportamenti e modi di pensare.
Partire per un percorso è forse la cosa più difficile, radicati come si è nelle strutture sociali e nelle abitudini, ma poi lungo il percorso si trova la soddisfazione di sentirsi diversi, di stare sempre meglio e soprattutto quel senso di leggerezza che si prova quando ci si libera di un peso. Vivere attivamente significa dunque progettarsi sempre la vita, trovare nuovi percorsi da intraprendere, inventarsi sempre cose nuove in cui mettersi in gioco e trovare il modo di realizzarsi come esseri pensanti, attivi e veri protagonisti della propria vita.
Si devono innescare nuovi modelli di comportamento che sostituiscono i vecchi: è solo così che si può crescere e trovare la propria serenità.
Le vite attive sono quelle in cui il soggetto sperimenta in proprio una nuova azione, un nuovo modello, rimuovendo il vecchio e sostituendolo col nuovo. La vita attiva non è una vita nel senso mondano del termine, ma un nuovo modello interiore rispetto all’esterno; si tratta invece di una progettualità rivoluzionaria di se stessi rispetto ai vecchi modelli, e di proporsi esseri diversi nei confronti della società in generale.